Rinvio del Codice della Crisi di Impresa e improcedibilità del fallimento. Il parere della Cassazione

Il Decreto Liquidità è intervenuto in materia di crisi d'impresa disponendo il rinvio del Codice della Crisi d'Impresa e la improcedibilità del fallimento durante l'emergenza coronavirus, mirando a contenere i danni causati dall'emegenza Covid alle aziende.

Con una relazione tematica la Cassazione illustra e commenta le disposizioni destinate ad emergenza Covid e crisi di impresa.

Gli articoli del Decreto Liquidità dedicati alla crisi d'impresa sono quelli che vanno dal 5 al 10: vengono introdotte delle deroghe alla normativa ordinaria in materia concorsuale per far fronte alla speciale situazione di crisi per le imprese causata dal Covid.

In questo articolo esaminiamo le deroghe introdotte dal Decreto Liquidità in materia societaria e concorsuale e il parere della Cassazione in merito.



Rinvio del Codice della Crisi di Impresa

L'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, introdotto dal Decreto Legislativo n° 14/2019, viene posticipata al 1° Settembre 2021.

I motivi del rinvio del Codice della Crisi di Impresa sono da riscontrare nel fatto che le mutate circostanze del mercato, stravolto dall'emergenza Covid, impedirebbero alla normativa di produrre gli effetti desiderati.

Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza si propone infatti di favorire l'instaurarsi di trattative tra l'imprenditore e i creditori in una fase antecedente alla crisi vera e propria, fase individuata da alcuni indicatori: tuttavia, in un contesto economico come quello attuale, non solo tali indicatori non assolverebbero allo scopo assegnatogli, ma l'impianto stesso del Codice della crisi d'impresa risulterebbe poco adatto alle circostanze.

Oltretutto, il clima non è proprio dei migliori per il collaudo di una nuova normativa in tema di crisi d'impresa.

Sospensione dell'obbligo di ricapitalizzare per le imprese in crisi

L'articolo 6 sospende l'obbligo per le società di capitali che abbiano perso più di un terzo del capitale di ricapitalizzare o trasformarsi in altro tipo di società.

Mantenere tale obbligo nel difficile contesto economico dell'emergenza Covid aggraverebbe lo stato di crisi delle imprese, in quanto, come osserva la Relazione al Decreto Liquidità:

"nonostante le massicce misure finanziarie in corso di adozione, si palesa una prospettiva di notevole difficoltà nel reperire i mezzi per un adeguato rifinanziamento delle imprese".

La continuità aziendale viene presunta

L'articolo 7 del Decreto Liquidità sospende l'obbligo di valutare la continuità aziendale in fase di redazione del bilancio, come previsto dal Codice Civile all'articolo 2423 bis.

Si consente all'azienda di redigere il bilancio secondo gli stessi criteri di redazione adottati per l'esercizio precedente pur se questi non dovessero (cosa probabile) più rispondere alle reali condizioni dell'azienda, verosimilmente "provata" dall'emergenza Covid.

In sostanza, si suppone esistente la continuiità aziendale, sospendendo il giudizio sull'effettivo stato di salute dell'azienda, nell'auspicio che la crisi economica causata dal Covid sia solo temporanea e superabile.

A tal proposito però, nella relazione la Cassazione nota come questo "chiudere un occhio" sia solo temporaneo e non risparmierà all'impresa il contatto con la realtà della propria effettiva situazione patrimoniale una volta terminata l'emergenza Covid e cessate le deroghe.

Prima di allora l'impresa dovrà necessariamente rimettersi nella condizione di proseguire la propria attività, avendo ristabilito una effettiva stabilità patrimoniale.



Finanziamenti da parte dei soci

L'articolo 8 consente ai soci di ottenere il rimborso dei finanziamenti eventualmente effettuati in favore della società tra l'entrata in vigore del decreto (9 Aprile 2020) e il 31 Dicembre 2020, senza che il loro credito venga "retrocesso" rispetto a quelli degli altri creditori, in deroga agli articoli 2467 e 2497 quinquies del Codice Civile.

Tale deroga si giustifica con l'intento di incentivare i finanziamenti da parte dei soci, in una fase in cui tali finanziamenti potrebbero risultare molto utili alla società.

Concordato preventivo

L'articolo 9 del Decreto Liquidità consente agli imprenditori che abbiano fatto ricorso al concordato preventivo di chiedere al Tribunale, prima che sia intervenuta l'omologazione del piano o dell'accordo di ristrutturazione:

  • una proroga fino a 90 giorni per riformulare una nuova proposta di concordato o di accordo di ristrutturazione.
  • modifica dei soli termini di adempimento del concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione; in tal caso il debitore deposita una memoria che indica i nuovi termini e la documentazione a sostegno della richiesta modifica dei termini.

Se invece è già intervenuta l'omologazione del concordato e i termini di scadenza di questo cadano tra il 23 Febbraio 2020 e il 31 Dicembre 2021 il debitore beneficia di una proroga di 6 mesi dei termini di adempimento. Non risulta dunque la possibilità di modificare il contenuto di una poposta o piano dopo l'omologazione del concordato.

Improcedibilità della domanda di fallimento

L'articolo 10 sancisce la improcedibilità delle domande di fallimento presentate tra il 9 Marzo 2020 e il 30 Giugno 2020.

Secondo la Relazione al Decreto Liquidità l'intento è quello di dare tempo al debitore per considerare strumenti alternativi al fallimento, e dunque alla fine dell'impresa.

Decreto liquidità e sovraindebitamento

La Cassazione nota come il Decreto Liquidità non faccia menzione dei soggetti che, sottratti alle procedure concorsuali, sono destinatari delle norme sul sovraindebitamento di cui alla legge n° 3/2012. Secondo la Cassazione:

"Ne consegue che per gli accordi sulla composizione della crisi o per il piano del consumatore non vi sia alcuna proroga dei termini di adempimento previsti dalla proposta ai creditori, né alcuna possibilità per i soggetti sovraindebitati di adeguare le proposte già presentate e già approvate alle mutate condizioni economiche."



L'esecuzione del concordato preventivo e la modifica del piano

Con la relazione tematica in esame la Cassazione si sofferma poi sul tema della esecuzione del concordato preventivo, partendo con il notare che anche a seguito del Decreto Liquidità non sono ammesse modifiche al piano dopo l'omologazione; tuttavia, si osserva, un piano di concordato concepito prima dell'emergenza covid con tutta probabilità è destinato a fallire ove venga perseguito inalterato in un contesto economico stravolto dal covid e drammaticamente diverso da quanto si poteva immaginare in fase di redazione del piano.

La Cassazione si chiede dunque se non si possano proprio ammettere modifiche in itinere al piano durante la fase esecutiva del concordato preventivo.

Il ragionamento seguito dalla Cassazione prende le mosse dall'articolo 186 bis della Legge Fallimentare il quale "postula che la variazione in fase esecutiva delle modalità proprie del concordato con continuità aziendale potrà essere ammessa qualora l'aspettativa di soddisfacimento dei creditori sia superiore a quella concretamente attesa dall'alternativa della liquidazione dell'attivo, normalmente in sede fallimentare".

Il soddisfacimeto dei creditori viene dunque elevato, secondo il ragionamento della Cassazione, a clausola generale della materia concordataria, tale da svolgere una "funzione di orientamento generale nella materia concordataria-ristrutturativa" e "sovrintendere, dunque, anche alla fase esecutiva della singola procedura minore, in rapporto alle modifiche che dovessero rendersi ivi necessarie.".

La Cassazione prosegue tracciando un parallelo tra l'esecuzione del piano di concordato e l'esecuzione del contratto, sostenendo che in entrambi i casi vada considerato più che l'adempimento della singola prestazione, il risultato complessivo a cui tanto il contratto quanto il concordato sono preordinati. Nel caso del concordato, tale risultato consiste nel "il superamento - nel tempo preventivato - della crisi, attraverso il soddisfacimento dei creditori."

Il parallelo con la materia contrattuale continua con il principio della forza maggiore: "Il nostro ordinamento riconosce, dunque, alla parte "vittima" di eventi pregiudizievoli la possibilità di ottenere la rimodulazione della prestazione contrattuale divenuta inesigibile. Non può che valere anche con riferimento al debitore in concordato nel senso che, ove le misure dei decreti legge non dovessero rivelarsi sufficienti a garantire la continuazione dei rapporti concordatari, è plausibile che il combinato disposto tra gli articoli 1256 e 1467 del Codice Civile consenta di fare ricorso alla condizione assolutoria della forza maggiore, al fine di ottenere la modifica del piano di concordato [...] secondo le esigenze economico-finanziarie innescate dal temporaneo lockdown."

Conclusioni

In definitiva, in via interpretativa la Cassazione introduce la possibilità per il debitore, in seguito all'emergenza Covid, di correggere un piano di concordato già approvato, così da salvaguardare la sua funzione: consentire il proseguimento dell'impresa e il conseguente soddisfacimento dei creditori.

L'intento che sta dietro tale sforzo interpretativo è chiaro: evitare che tutti i concordati in continuità omologati prima del lockdown falliscano e con essi le imprese che sulla puntuale esecuzione del concordato puntavano, non avendo previsto il sopraggiungere di condizioni economiche tanto peggiori al momento delle formulazione del piano.


Vincenzo Lalli

Vincenzo Lalli

Di formazione legale, appassionato da sempre di tecnologia ed informatica; esperienza professionale acquisita a cavallo tra i due mondi, finora piuttosto lontani tra loro. Mi dedico ad esplorare le crescenti interazioni tra il Diritto e la tecnologia, e a dare il mio contributo alla causa dell'innovazione nel settore legale; a tal fine, ho dato vita ad Avvocloud.net.

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