Il Reato di Procurato Allarme

Un esempio di reato di procurato allarme può configurarsi in caso di diffusione di notizie false sui contagi da covid, in particolare quando questa avviene attraverso social network o altri mezzi che consentono una rapida circolazione delle notizie.

Durante l'emergenza Covid non sono stati rari i casi in cui attraverso i social network si sono diffuse notizie false inerenti a contagi da coronavirus, contatti con soggetti contagiati dal virus e sintomi veri o presunti del coronavirus.

Il reato di procurato allarme nel Codice Penale

Il reato di procurato allarme è previsto e disciplinato dall’articolo 658 del Codice Penale, che punisce

“chiunque, annunziando disastri, infortuni o pericoli inesistenti, suscita allarme presso l’Autorità, o presso enti o persone che esercitano un pubblico servizio”.

articolo 658 Codice Penale

La pena per il reato di procurato allarme

Il reato di procurato allarme prevede la pena detentiva dell’arresto fino a sei mesi o, alternativamente, la pena pecuniaria dell’ammenda da € 10 ad € 516. La fattispecie di reato di procurato allarme è di natura contravvenzionale ed è punibile sia a titolo di dolo che di colpa (procurato allarme colposo).

Quando si configura il reato di procurato allarme

Il bene giuridico tutelato dalla suddetta normativa riguarda il corretto funzionamento ed impiego della forza pubblica da parte dell’Autorità che, a causa di false segnalazioni su mezzi di comunicazione di massa, come ad esempio i social network, potrebbe essere esercitata in modo improprio a causa del falso allarme procurato.

Ai fini della configurazione del reato di procurato allarme è necessario che la condotta di comunicazione del disastro, infortunio o pericolo inesistente presso l’Autorità o altri enti incaricati di pubblico servizio e l’idoneità dell’annuncio sia tale da suscitare l’allarme sociale relativo alla verificazione di un fatto di reato o pericolo di danno per l’incolumità pubblica.

La giurisprudenza sia di legittimità che di merito ha stabilito che, ai fini della configurazione del reato di procurato allarme non è necessario che venga disposto l’impiego, fuorviato, della forza pubblica ma, di fatto, la condotta criminosa si verifica nel momento in cui viene provocato un allarme ingiustificato presso la collettività1.

Pertanto, costituisce reato la condotta che rappresenta falsamente, in maniera artificiosamente costruita, una situazione di allarme inesistente o, comunque, non realmente pericolosa per la società2.

Inoltre, trattandosi di una contravvenzione, la giurisprudenza ha stabilito che l’eventuale errore colposo sull’effettiva esistenza del pericolo annunciato non esclude la punibilità poiché, come sopra riferito, la condotta che integra il reato di procurato allarme è punibile sia a titolo di dolo che a titolo di colpa3.

Il reato di procurato allarme in giurisprudenza

In proposito, alla luce di quanto previsto da varie pronunce giurisprudenziali, il reato di procurato allarme può configurarsi nel caso in cui:

  • un giornalista decida di pubblicare una falsa notizia di un possibile attentato senza che prima abbia verificato l’oggettività e l’attendibilità della fonte dell’informazione ricevuta4;
  • un soggetto che, decidendo di allontanarsi dalla propria residenza e rendendosi irreperibile, lasci inequivocabili indizi di volontà suicida5;
  • un soggetto che mediante chiamata telefonica al numero di pronto intervento rappresenti la presenza di sconosciuti all’interno della propria abitazione quando, in realtà, si tratti di suoi stretti congiunti in discussione per questione ereditarie6;
  • un soggetto che comunichi falsamente all’Autorità che una motonave, adibita al trasporto di bombole di gas, sarebbe stata oggetto di un attentato7.

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Giurisprudenza su Covid e reato di procurato allarme

Ciò detto sulla casistica giurisprudenziale sopra riportata, bisogna segnalare che, durante lemergenza Covid sono state numerose le denunce per il reato di procurato allarme a carico di soggetti che, mediante l’utilizzo del sistema di messaggistica WhatsApp o social network come Facebook, hanno diffuso notizie false ed infondate circa situazioni di pericolo relative al contagio da coronavirus, determinando un ingiustificato allarme sociale nella comunità e, di conseguenza, presso l’Autorità.

Secondo una recente pronuncia giurisprudenziale, condotte similari configurano il reato anche se l’annuncio del pericolo non sia effettuato direttamente all’Autorità ma, in modo mediato, a qualsiasi privato cittadino ossia con comunicazioni dirette, anche astrattamente e potenzialmente, al singolo individuo ed alla collettività8.

A titolo esemplificativo, dalle notizie di cronaca, si è appreso che, nell’ultimo periodo, è stata denunciata, per il reato di procurato allarme, la condotta del sanitario che, a mezzo sistema di messaggistica WhatsApp, ha diffuso notizie allarmanti e non veritiere circa l’incompetenza della struttura ospedaliera di appartenenza nella gestione della emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, generando caos sociale e sfiducia nelle Istituzioni.

Altresì, è stato denunciato per procurato allarme il privato che, mediante l’utilizzo di social network, ha diffuso e condiviso, ad un pubblico potenzialmente ampio, la falsa notizia della presenza di soggetti contagiati presso il proprio Comune di residenza o della violazione della quarantena da parte di soggetti positivi al coronavirus.

La divulgazione di queste informazioni false sulla diffusione del virus non solo ha determinato un generale ed ingiustificato allarme sociale, ma anche l’inutile attivazione delle forze dell’ordine e lo spreco di risorse pubbliche al fine di fronteggiare la situazione di instabilità creata dalla falsa rappresentazione della realtà condivisa sui social network.

Pertanto, come già riferito in precedenza, ai fini della sussistenza del reato di procurato allarme, non si distingue fra le situazioni in cui l’allarme sia stato procurato dolosamente, e quindi con la consapevolezza dell’inesistenza effettiva del pericolo falsamente rappresentato, oppure colposamente, quindi con irresponsabilità e negligenza nella verifica della attendibilità della notizia diffusa.


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di Caterina Martino


Conclusioni

L’emergenza Covid ha fornito un esempio del reato di procurato allarme, mostrando l'importanza di una attenta e responsabile opera da parte degli organi di informazione volta a fornire notizie attendibili e verificate circa la reale evoluzione della pandemia; è risultato anche evidente quanto la divulgazione da parte di privati cittadini di notizie false possa generare allarme, arrecare danno alla società e dunque configurare gli estremi del reato di procurato allarme.


1. Trib. Napoli, sez. I, 09 maggio 2007, n.4006; Cass. pen., sez. I, 26 maggio 1987
2. Cass. pen., sez. I, 09 febbraio 2018, n. 26897
3. Cass. pen., sez. I, 27 novembre 2012, n. 99
4. Cass. pen., sez. I, 20 aprile 2012 n. 19367; Trib. Milano, sez. uff. indagini prel., 16 maggio 2011
5. Cass. pen., sez. I, 09 febbraio 2018, n. 26897.
6. Cass. pen., sez. I, 20 luglio 2016, n. 21781
7. Cass. pen., sez. I, 27 ottobre 2006, n.39380
8. Cass. pen., sez. I, 09 febbraio 2018, n. 26897


Avvocato Roberto Tedesco Penalista a Monza

Roberto Tedesco

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