Valutazione di immobile in edilizia convenzionata

Un immobile in regime di edilizia convenzionata prevede l’alienazione del solo diritto di superficie, come specificato nella Convenzione stipulata nel 1989 con il Comune di appartenenza che prevede dei vincoli relativi all’alienazione ed alla locazione da parte del superficiatario.

L’acquirente nel marzo del 1997 stipula un contratto di compravendita con l’impresa edile acquisendo il diritto di superficie dell’appartamento con annesse le relative pertinenze, assoggettandosi ai vincoli ed alle limitazioni previste dalla convenzione del 1989.

Successivamente, nel 2007, il superficiario decide di aderire alla trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà (affrancazione), stipulando una nuova Convenzione con il Comune che comunque richiama i vincoli per l’alienazione e la locazione della vecchia stipulata nel 1989. Essi rimangono in vigore, per una durata trentennale, fino al marzo del 2019.

Nell'ottobre del 2019, dopo il decesso del genitore avvenuto nel maggio 2018, si apre un contenzioso tra gli eredi del defunto e l’immobile è soggetto ad una perizia di stima.

Il valore di mercato dell’immobile previsto dalla valutazione da parte del tecnico abilitato alla perizia non tiene conto delle limitazioni e dei vincoli che lo hanno condizionato per un intero trentennio e pertanto, il professionista, lo considera come se fosse un cespite soggetto ad edilizia residenziale privata, andando ad incidere notevolmente sulla quota della legittima dell’erede.

Il proprietario dell’immobile rivendica il riconoscimento delle limitazioni trentennali dello stesso, ipotizzando un minor valore del cespite calcolato sulla differenza tra il prezzo di mercato del bene con diritto di proprietà ed il prezzo del bene con il diritto di superficie.

Chiedo dunque:

  • Tale differenza potrebbe costituire un elemento diminutivo nel calcolo del valore complessivo dei beni di cui dispone l’erede?
  • L’osservazione prodotta dal proprietario è corretta? Nella valutazione si deve tener conto delle limitazioni e dei vincoli che hanno condizionato per un trentennio il cespite o il riconoscimento di un "valore aggiunto"?

Risposte (2)

Occorre tener conto di due aspetti:

  • il contesto all'interno del quale è effettuata la stima (immagino sia un contenzioso tra eredi per stabilire l'eventuale lesione di legittima):
    • giudizio di divisione?
    • azione di riduzione ereditaria?
    • Altro?
  • la data alla quale fare riferimento per la stima: si intende fare una valutazione del bene oggi ovvero ad un momento antecedente? Ciò rileva ad esempio nel caso in cui il bene in questione sia stato oggetto di donazione ovvero è stato devoluto per testamento.

Inoltre occorrerebbe sapere:

  • quando è stata effettuata l'affrancazione, ovvero la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà;
  • da parte di chi (chi ha sostenuto le spese dell'affrancazione);
  • se sono rimasti dopo tale operazioni dei vincoli sull'immobile in edilizia convenzionata che ne diminuiscono il valore.

Le informazioni di cui sopra sono necessarie per capire qual è la strategia migliore da adottare a tutela degli interessi del cliente.

Risposta

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avvocato Stefano Toro

Stefano Toro

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Gentile Utente,
per meglio rispondere al suo quesito sarebbe opportuno conoscere a quale tipo di "contenzioso ereditario" Lei fa riferimento, qual è la "qualifica giuridica" del soggetto nell'interesse del quale lei pone la presente domanda, oltre a poter visionare la perizia predisposta dal consulente nominato dal giudice.

Ciò premesso, basandomi unicamente sul tenore letterale delle parole e delle espressioni da Lei utilizzate, mi sembra di intendere che il contenzioso in questione possa essere inquadrato in un'azione di reintegrazione della quota di legittima svolta da uno o più eredi legittimari che si pretendono lesi nella quota a loro riservata dalla legge (art. 553 c.c.).

In questo caso, la norma giuridica cui deve farsi riferimento al fine di stabilire quale sia il valore del patrimonio ereditario e, quindi, procedere alla determinazione dell'ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre, è l'art. 556 c.c., ai sensi del quale la valutazione della porzione disponibile si fa con riferimento ai beni caduti in successione al tempo della morte.

Unitamente al predetto art. 556 c.c. si dovrà poi fare riferimento, riguardo ai beni immobili, anche all'art. 747 c.c. (richiamato dall'art. 556 c.c.), che prevede che la collazione per imputazione si fa con riferimento al valore dell'immobile al tempo dell'aperta successione.

In sostanza, dal combinato disposto degli articoli sopra citati si può ricavare il principio di diritto per cui "per stabilire se donazioni o disposizioni testamentarie siano state lesive o meno della quota di legittima deve prendersi come base di calcolo il valore del patrimonio ereditario valutato al momento dell'apertura della successione".

Da ciò consegue che eventuali limiti o vantaggi relativi a periodi precedenti alla data di apertura della successione non potranno incidere sulla valutazione del patrimonio ereditario, in quanto il valore dei beni che lo compongono sarà quello dagli stessi assunto al momento della morte del de cuius.

Discorso diverso è, invece, il caso in cui un bene compreso nell'asse ereditario acquisti maggiore o minore valore al momento della divisione dell'eredità, in quanto, secondo il recente orientamento della giurisprudenza, gli eredi non potranno lucrare sull'eventuale valore mutato nel tempo, tra la morte del de cuius e il momento della divisione. In quest'ultimo caso, infatti, sarà possibile prevedere dei conguagli in denaro commisurati al valore del bene o dei beni in favore dell'erede non assegnatario del bene in natura, tenendo conto del mutato valore al momento della divisione.

Risposta

avvocato Valentina Rossello

Valentina Pensi Rossello

Avvocato Civilista a Torino
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